CW: Nell’articolo sono presenti le solite menzioni su alcuni temi delicati relativi alla salute mentale. In alcuni punti è citato l’omicidio, lo stupro e diverse forme di violenza.
Ciao! Come stai?
Non ho scritto nessuna newsletter perché ho deciso di interrompere questo sfogo personale che in molte occasioni è sembrato diventare una sorta di psicodramma personale. Tutto era cominciato con un’idea che mi permettesse di raccontarmi e aiutare le persone a riconoscersi nei miei racconti.
Ma non è facile. Non è facile esporre la tua persona al punto da ricevere valutazioni. Io lo dico sempre: se ci fosse davvero un giudizio universale, che esponesse questi 20 anni di vita al pubblico, non so se ne uscirei. Gli esseri umani sbagliano. Tutti fanno errori. Eh… ma io faccio un po’ più errori degli altri, arrivando ad essere indifendibile.
Per questo, i giudici mi fanno paura. Chi vuole dare un punteggio alla tua esistenza contando le azioni, mi fa paura. Perché ho paura di essere ridotta ai miei errori. Di essere vista come una persona che finge di essere normale, ma nei fatti nasconde dei brutti segreti.
No. Io non fingo di essere gentile. Io non fingo di voler aiutare gli altri. Ma non ho fatto finta quando sono stata cattiva con molte persone e quando ho scritto cose problematiche. Tengo il conto di ogni episodio di questo tipo, imparando a capire il modo in cui non farlo ripetere.
E arriviamo qui a uno dei tanti problemi: io faccio la vittima. Lo faccio perché ho paura di deludere gli altri. Perciò, quando sbaglio, inizio ad accusare le persone che ho offeso. Con il tempo, ho imparato a come comunicare in modo che funzionasse, in maniera totalmente inconscia. Ho imparato che farsi vedere visibilmente scossa mentre si ripete costantemente “Eh ma lui” ti fa automaticamente passare per colpevole, quindi scelgo altre vie che - talvolta - funzionano.
Ma è un meccanismo di difesa che lascia il tempo che trova. Perché posso evitarmi gli sguardi, posso evitare di perdere le persone, di perdere credibilità. Ma non posso evitare la mia coscienza che mi ricorda ciclicamente che ho tante cose nell’armadio che non vorrei far uscire.
C’è stata una grande rivelazione durante una delle ultime sedute in terapia. Ci ho riflettuto proprio mentre scrivevo e ho detto al mio terapeuta che ho il vizio di comportarmi in questo modo. Ho analizzato a freddo molte situazioni della mia vita dove avevo torto e ho criticato aspramente il modo in cui ho gestito le cose. Sono arrivata alla conclusione che quello che faccio quando sono dalla parte del torto, seppur inconsciamente, è attuare delle strategie intelligenti per manipolare l’opinione altrui. Ho avuto il coraggio per la prima volta di confessare in terapia di non essere così onesta e così brava come penso spesso di essere.
Penso di essere una brutta persona? Dipende dal punto di vista.
Io non ho mai fatto fisicamente male a qualcuno. Non ho mai forzato una persona ad avere un rapporto sessuale. Non ho mai intrappolato una persona in una relazione abusiva. Non ho mai cagionato la morte di una persona. Non ho mai rubato beni di un’altra persona. Non ho mai sottratto soldi in maniera ingannevole. Non ho mai sostenuto la supremazia di qualunque tipo di oppressione sistemica. Non ho mai partecipato attivamente a crimini d’odio e organizzato attività di massa con fini violenti verso minoranze.
Potrei andare avanti all’infinito su cose che “non ho fatto”. Ma così è facile, non credete?
Potrei anche concentrarmi su quando io sono stata la vittima. E mi riferisco almeno a metà delle cose che ho descritto sopra.
Ma questi sono tutti modi per aggirare le mie colpe. Io posso attivamente promuovere un certo tipo di valori e comportamenti. Ma l’applicazione nella vita reale non è così immediata. Almeno non per me. Non ho sempre il controllo, non so cosa succede quando sono in una fase maniacale finché non finisce e ne vedo le conseguenze.
E sicuramente lo so, so di non essere una persona che ha inflitto sofferenza alle altre. Ma so anche che l’odio, le violenze, derivano da radici ben definite. E se nascondo sotto un po’ di retorica le scabrosità della mia persona, finirò per giustificare volta per volta atteggiamenti sempre più gravi.
Ovviamente non voglio alimentare una paranoia, ma promuovere un atteggiamento di autocoscienza. Bisogna essere coscienti dei propri errori e avere autoempatia. Vuol dire venirsi incontro, comprendersi e darsi la possibilità di migliorare. Solo tu puoi riabilitare te stessa in prima battuta.
L’autoempatia non è nascondere, non è giustificare, non è far sparire l’armadio. L’autoempatia è evitare l’autofustigazione e il suo esatto contrario, evitando qualunque atteggiamento sposti il focus dall’evento alla punizione o alla giustificazione.
Imparare a poter dire, la prossima volta che commetto un errore, “mi dispiace” prima di disquisire termini e condizioni e pensare al non essere beccata. Per usare la mia voce per fare del bene davvero, non per confidarmi con gli altri perché ho paura di essere esclusa.
E poter un giorno vivere bene con la consapevolezza della menzogna voyeuristica che è l’esistenza umana.